- Comunità di San Martino di Tours

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San Martino > Livello 7
 
 

Sulpicio Severo

 

Vita di San Martino Vescovo e Confessore
(traduzione a cura di Franzo Migliore)

 


Seconda Parte
Capp. IX - XVIII

 
 
 


Cap. IX
Suo malgrado Martino diventa vescovo di Tours

 


1. Quasi nello stesso tempo, si chiedeva a Martino di esercitare l’episcopato, ma, poiché non era facile strapparlo al suo eremo, un cittadino di Tours, un certo Rusticio,  simulata una malattia della moglie, si prostrò alle ginocchia del santo, e riuscì così a farlo uscire fuori dall’eremo. 2. Lungo la strada erano disposte folle di cittadini che lo accompagnarono fino alla città sotto buona scorta, quasi che fosse prigioniero. Qui si presentò uno spettacolo meraviglioso: si era raccolta una incredibile  moltitudine di persone, non solo della città di Tours, ma anche di gente venuta dalle città vicine, per portare il loro suffragio. 3. In tutti lo stesso desiderio, le stesse aspirazioni, gli stessi sentimenti: «Martino - si diceva - è il più degno dell'episcopato. Felice la chiesa che avrà un tale vescovo!». Tuttavia, alcuni assistenti ed alcuni dei vescovi, che erano stati chiamati per ordinare il futuro pastore, facevano un'empia opposizione, dicendo che Martino era un personaggio spregevole, non degno della dignità episcopale, un uomo dall’aspetto pietoso, mal vestito, mal pettinato.
4. Ma il popolo, che si dimostrò più saggio, mise in ridicolo la pazzia di questi vescovi che, mentre ritenevano di biasimare un uomo illustre, finivano per farne l’elogio. E in verità essi non poterono fare altro che accettare la volontà del popolo, ispirato dal Signore. Si dice che tra i vescovi presenti, il principale oppositore fu un certo Difensore; si notò anche che egli fu rimproverato da un testo biblico profetico. 5. Per un caso fortuito, il lettore che doveva leggere quel giorno, non era ancora arrivato poiché era bloccato dalla folla. I ministri del culto erano preoccupati. Mentre si attendeva l'assente, uno degli assistenti, aperto il salterio, cominciò a leggere il primo versetto che  gli venne sotto mano. 6. Il salmo era questo: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti  hai tratto la lode a causa dai tuoi nemici, per ridurre al silenzio l’avversario  e il vendicatore (Sal 8, 3). Questa lettura solleva i clamori del popolo, gli oppositori sono confusi. 7. Si ritenne che il salmo era stato letto per volontà di Dio, affinché Difensore sentisse la condanna della sua opera: dalla bocca dei bambini e dei lattanti si levò la lode del Signore in favore di Martino e, nello stesso tempo, si svelò che Difensore era un nemico e come tale fu annientato.

 

Cap. X
Fondazione del monastero di Marmoutier nei pressi di Tours

 


1. Assunta la carica episcopale, non è nelle nostre capacità illustrare a sufficienza le sue qualità  e la grandezza  del suo comportamento. Egli , infatti, restò sempre l'uomo che era stato prima: 2. la sua umiltà di cuore rimase inalterata, identica  anche la  povertà del suo abbigliamento; e così, ripieno di autorità e di grazia, aveva tutta la dignità di un vescovo senza abbandonare il genere di vita e la virtù di un monaco.
3. Per qualche tempo, dimorò in una cella attigua alla chiesa, poi, poiché non poteva sopportare il disagio che gli causavano i visitatori, decise di trasferirsi in un monastero distante circa due miglia dalla città. 4. La località era così appartata e sperduta, che egli non aveva da desiderare la solitudine di un eremo. Infatti, da un lato, era cinto dalle rocce a picco di un'alta montagna, dall'altro lato, la pianura era chiusa da una piccola ansa della Loira. L’unica via d’accesso era costituita da una sola strada, e per giunta molto stretta. Martino occupava una cella fatta di legno come del resto molti dei suoi confratelli: 5. i più avevano scavato la roccia della montagna sovrastante e ne avevano ricavato le loro celle. Circa ottanta erano i discepoli che si uniformavano all'esempio del loro beato maestro. 6. Nessuno possedeva niente in proprio, tutto era messo in comune. A nessuno era lecito acquistare o vendere alcunché, come sono soliti fare certi monaci. Nell’eremo non si esercitava nessuna arte, eccetto quello del copista, ma questo lavoro era riservato ai più giovani, i più anziani invece  trascorrevano il loro tempo in preghiera. 7. Raramente uscivano dalla propria cella, eccetto quando si riunivano nel luogo dove avveniva la preghiera in comune. Quando non digiunavano,  mangiavano tutti quanti insieme; non si conosceva il vino, salvo quando qualcuno era ammalato. 8. La maggior parte erano vestiti di pelle di cammello; là, era considerato peccato indossare abiti delicati. Questo rigore era tanto più ammirevole per il fatto che  molti monaci erano, a quanto si diceva, dei nobili, allevati in maniera assai ben diversa, si erano assoggettati a questa vita fatta di umiltà e di privazioni. Parecchi di essi, in seguito, li abbiamo visti vescovi. 9. Difatti, quale città o quale chiesa non avrebbe desiderato un vescovo proveniente dal monastero di Martino?

 


Cap. XI

Il falso martire  

 


1. E’ giunto ora il momento di iniziare a parlare degli altri miracoli che Martino compì una volta diventato vescovo. C'era, non lontano da Tours e vicino al monastero, un luogo che si considerava a torto come sacro, come se vi fossero stati sepolti  dei martiri, 2. al punto che i vescovi predecessori di Martino vi avevano eretto anche un altare. Martino, poiché non voleva prestare  fede in maniera temeraria a racconti pieni di incertezze, interrogava gli anziani della chiesa, preti o chierici che fossero, e da essi desiderava avere ragguagli sul nome del martire e  sul tempo del martirio: provava, diceva, grandi scrupoli, perché nulla di certo né di concordante era stato trasmesso dalla tradizione. 3. Perciò, per qualche tempo si tenne lontano da quel luogo, dato che non voleva né vietare il culto che vi si teneva, perché esitava a biasimarlo, né incoraggiare con la sua autorità la superstizione popolare.
Un giorno, dunque, presi con sé alcuni dei confratelli, si recò nel luogo in questione. 4. Quindi, stando in piedi sul sepolcro, chiese al Signore di fargli conoscere il nome o i meriti di colui che vi era sepolto. Allora, voltatosi a sinistra, vide drizzarsi accanto a lui uno spettro orrendo e sinistro. Subito Martino gli comandò di rivelare il suo nome e la sua natura. L'altro disse il suo nome e confessò la sua vita delittuosa: era stato un brigante, per i suoi misfatti aveva subito la pena capitale, ed era onorato indebitamente dal volgo: non aveva niente in comune con i martiri dal momento che essi erano in cielo nella gloria, mentre subiva il suo castigo nell'inferno. 5. Cosa strana, i presenti sentivano la sua voce senza vedere nessuno. Allora Martino raccontò ciò che aveva visto; quindi ordinò che fosse rimosso l'altare che era stato innalzato in quel luogo e in tal modo distolse il popolo da questa superstizione.

 


Cap. XII

Disavventura di un corteo funebre

 


1. Poco tempo dopo, avvenne che Martino, mentre era in strada, per caso si imbatté in un corteo funebre: un pagano era condotto al sepolcro secondo i riti superstiziosi allora in uso. Da lontano il santo vide avvicinarsi una folla di persone; non sapendo di che si trattasse, si fermò. Poiché c'era una distanza di circa cinquecento passi, non era facile distinguere i particolari. 2. Tuttavia, poiché vedeva una folla di  contadini che, al soffio del vento, facevano svolazzare lenzuola di lino sul corpo, Martino credette che si stessero svolgendo i riti profani di un sacrificio: era, infatti, consuetudine dei contadini gallici, nella loro miserabile follia, portare a spasso attraverso i campi  immagini di demoni ricoperti di veli bianchi. 3. Dunque, sollevata la mano verso quelli che sopraggiungevano, Martino fece il segno della croce e ordinò alla folla di fermarsi e deporre a terra il carico. Allora, in verità, avresti potuto vedere uno spettacolo stupefacente: quegli infelici, innanzitutto, si irrigidirono come rocce; 4. poi, quando con grandi sforzi tentavano di andare avanti, non essendo capaci di avanzare, giravano su se stessi piroettando in  maniera ridicola. Infine, vinti, depositarono il corpo che trasportavano. Attoniti, guardandosi gli uni gli altri, si chiedevano in silenzio ciò che fosse capitato loro.
5. Tuttavia, quando il santo capì che si trattava di un corteo funebre e non di un sacrificio, allora alzata nuovamente la mano, restituì loro la libertà di andarsene e di portare via il corpo. Così, quando egli volle, li costrinse a fermarsi e, quando gli sembrò opportuno, permise loro di andarsene.

 


Cap. XIII

Distruzione di un albero sacro.
Conversione di tutta la popolazione di una regione

 


1. Un'altra volta, in un villaggio, dopo avere fatto distruggere un tempio assai antico, Martino voleva fare abbattere anche un pino che era nelle vicinanze del santuario; allora, il sacerdote di quel luogo e la folla dei pagani si opposero. 2. Quegli stessi uomini che, per volontà del Signore, erano stati quieti mentre veniva demolito il tempio, non volevano permettere che si tagliasse un albero. Martino tentò di spiegare loro che non c'era niente di divino in un tronco di albero; avrebbero fatto meglio piuttosto a servire il Dio di cui egli stesso era servitore; bisognava tagliare quell’albero, poiché era stato dedicato ad un demonio. 3. Allora, uno dei pagani, più ardito degli altri, disse: «Se hai fiducia in questo Dio che dici di adorare, noi stessi taglieremo quest’albero a condizione che tu ti metta sotto l’albero mentre cade. Se il tuo Signore è con te, come tu pretendi, sarai salvo». 4. Allora il santo, confidando nel Signore, coraggiosamente promise che avrebbe fatto quanto gli si chiedeva. Tutta la folla dei pagani acconsentì a tale condizione: essi accettarono con rassegnazione la perdita dell’albero poiché essa era compensata dal fatto che la caduta avrebbe schiacciato il nemico del loro culto.
5. Il pino era tutto inclinato da un lato, al punto che  non v’era dubbio che l’albero, una volta colpito,  sarebbe caduto da quella parte. Martino, dopo essere stato legato,  fu posto nel punto scelto dai contadini, dove non v’era dubbio che l'albero sarebbe caduto. 6. Fatto ciò, dunque, i pagani cominciarono a tagliare il pino con grande gioia ed  esultanza, alla presenza di un gran numero di persone che guardavano da lontano stupite. A poco a poco si vide il pino vacillare e minacciare rovina con la sua caduta. 7. A distanza, stavano i monaci pallidi in volto e spaventati dal pericolo ormai imminente: avevano perduto ogni speranza e fiducia, e da un momento all’altro attendevano la morte di Martino. 8. Ma egli, fiducioso nel Signore, aspettava intrepido. Quando il pino, crollando, provocò un enorme fragore, solo a  quel punto, mentre l’albero stava precipitando ed era sul punto di schiacciarlo, il santo oppose la sua mano tesa nel segno della croce. Allora in verità il pino, sospinto indietro – si sarebbe detto - come da un turbine, si abbatte dal lato opposto, al punto che per poco non schiacciò  i contadini che si credevano al sicuro.
9. Subito si levò un grande clamore fino al cielo, e i pagani si stupirono per il miracolo, i monaci piansero di gioia: gli uni e gli altri erano accomunati nel celebrare il nome di Cristo e fu subito molto evidente che quel giorno la salvezza era giunta in quella contrada; tra quella grande moltitudine di pagani, non ci fu quasi nessuno che non chiedesse l'imposizione delle mani per credere al Signore Gesù ed abbandonare l'errore dell'empietà. E veramente, prima di Martino, pochissime persone, anzi quasi nessuno, in quelle regioni aveva accolto il nome di Cristo. Da quel momento, grazie ai miracoli e all'esempio di Martino, il nome di Gesù si diffuse talmente che adesso tutta la contrada è piena di numerose chiese e monasteri. Dovunque, infatti, si distrussero dei templi, subito nello stesso luogo si costruirono chiese o monasteri.

 


Cap. XIV
Martino spegne un incendio.
Distrugge un tempio pagano con l’aiuto di due angeli

 


1.
Sempre in quello stesso periodo, operando un miracolo analogo, Martino mostrò il suo potere soprannaturale. In un paese, era stato dato alle fiamme un antichissimo e assai celebre santuario. Sospinte dal vento, le fiamme stavano per raggiungere una casa che si trovava nelle vicinanze. 2. Appena Martino se ne avvide, in fretta e furia salì sul tetto della casa e andò incontro alle fiamme. Si poté vedere, allora, un spettacolo meraviglioso: il fuoco veniva soffocato dalla violenza del vento, ed era come se avvenisse una sorta di lotta tra i due elementi. Così, grazie al potere di Martino, il fuoco non poté esercitare le sue devastazioni che nei limiti fissati dal santo.
3. In un altro villaggio, il cui nome è Leprosum, Martino un giorno voleva parimenti distruggere un tempio, arricchito dalla superstizione pagana, ma incontrò la resistenza di una moltitudine di pagani, i quali lo respinsero facendo ricorso anche alla violenza. 4. Appunto per questo, il santo si ritirò in un luogo vicino e per tre giorni, ricoperto di un cilicio e di cenere, digiunando sempre e pregando, invocò il Signore: poiché la mano dell'uomo non aveva potuto abbattere quel tempio, soltanto la Potenza divina poteva distruggerlo. 5. All'improvviso, gli si presentarono due angeli, armati di lance e di scudi, come se appartenessero alla milizia celeste. Gli dissero che erano mandati dal Signore per mettere in fuga la moltitudine dei contadini, portare soccorso a Martino, e impedire che qualcuno si opponesse alla distruzione del tempio: il vescovo non aveva dunque che da tornare, per completare devotamente l'opera cominciata. 6. Martino, dunque, ritornò nel villaggio e, sotto gli occhi di una folla di pagani che stavolta stava tranquilla, fece abbattere fin dalle fondamenta l'empio edificio e ridurre in polvere tutti gli altari e le statue. 7. A quella vista, i contadini compresero che la Potenza divina li aveva paralizzati mediante lo stupore e lo spavento, per impedire loro di opporre resistenza al vescovo. Quasi tutti credettero nel Signore Gesù, proclamando apertamente e confessando ad alta voce che si dovevano abbandonare degli idoli che non potevano difendere né se stessi, né gli altri e che si doveva adorare il Dio di Martino.

 


Cap. XV
Predicazione e miracoli di Martino nel paese degli Edui

 


1. Riferirò adesso quanto accadde ancora nella regione degli Edui, dove, mentre  Martino faceva distruggere un tempio, una moltitudine inferocita di contadini pagani si gettò su di lui. Uno degli aggressori, più ardito degli altri, sguainata  la spada,  tentò di colpirlo. Il vescovo, gettato via il mantello, offrì all'omicida il suo collo nudo. 2. Il pagano non esitò a colpirlo ma, avendo sollevato troppo in alto la mano, cadde all'indietro. Spaventato, come pervaso da una paura divina, implorò il suo perdono.
3. Analogo a questo fu un altro miracolo. Mentre Martino distruggeva degli idoli, qualcuno cercò di colpirlo con un coltello: nel momento stesso in cui stava per vibrare il colpo, il ferro gli scappò dalle mani e sparì. 4. Ma spesso, quando i contadini si opponevano alla distruzione dei loro templi, Martino mediante  la sua santa predicazione placava talmente gli animi di questi pagani che presto, manifestatasi loro la luce della verità, distruggevano essi stessi i loro templi.

 


Cap. XVI
Guarigione miracolosa a Treviri

 


1. Martino possedeva in sommo grado il dono di guarire, tanto che non c’era malato che si avvicinasse a lui che non recuperasse immediatamente la salute: è quanto si ricava  dal seguente esempio. 2. A Treviri, una ragazza era affetta da una terribile malattia, la paralisi, al punto che già da molto tempo il suo corpo non era in grado  di svolgere nessuna dalle funzioni necessarie per la vita umana: morta già in tutte le sue membra, in lei palpitava appena un soffio di vita. 3. I suoi parenti, sprofondati nella tristezza, le stavano intorno, non aspettando altro che la sua morte, quando improvvisamente fu annunciato in città  l'arrivo di Martino. Appena il padre della ragazza ne fu informato, corse a perdifiato per chiedere la guarigione della figlia. 4. Per caso Martino era già entrato in chiesa. Qui, sotto gli occhi del popolo e alla presenza di molti altri vescovi, tra i singhiozzi, il vecchio abbracciò le sue ginocchia e disse: «Mia figlia sta morendo di una terribile malattia e, cosa che è più crudele della morte, non ha in sé che un soffio di vita, poiché nella carne è già morta. Ti chiedo di andarla  a trovare e di benedirla, perché sono sicuro che tu puoi ridarle la salute».  5. Confuso da queste parole, Martino, tentò di sottrarsi, dicendo che quanto l’uomo chiedeva non era in suo potere e il vecchio sragionava: egli, Martino, non era degno che il Signore si servisse di lui per manifestare la sua Potenza. Ma il padre, piangendo e supplicandolo di visitare la ragazza morente, insisteva ancora di più. 6. Infine, spinto dalle pressioni dei vescovi che gli stavano intorno, Martino si recò nella casa della giovane. Una grande folla aspettava davanti alla porta, per vedere ciò che il servo di Dio stava per compiere. 7. Innanzitutto, ricorrendo a quelle armi che gli erano familiari nelle cose di questo genere, prostratosi al suolo,  si mise a pregare. Poi, guardando la malata, chiese che gli fosse portato dell'olio. Dopo averlo benedetto, versò quel liquido santificato nella bocca della ragazza, che all’istante  recuperò la parola. 8. Poi, uno dopo l'altro, toccò  tutte le membra che, a poco a poco, cominciarono a rianimarsi, fino al momento in cui, salda sui suoi piedi, alla presenza del  popolo, la ragazza si alzò.

 

Cap. XVII
Guarigione di indemoniati

 


1. Nello stesso periodo, uno schiavo di un certo Tetradio, personaggio proconsolare, era posseduto da un demonio che lo torturava con i suoi molesti assalti. Pregato, dunque, di imporgli le mani, Martino chiese che l’uomo fosse condotto alla sua presenza, ma non si poté trarre fuori lo spirito dalla cameretta in cui era, poiché si precipitava rabbiosamente su coloro che gli si avvicinavano, e li mordeva con i denti. 2. Allora Tetradio si gettò alle ginocchia del santo,  e lo supplicò di recarsi di persona nella casa dove era l'indemoniato. Martino in verità disse di non potersi recare nella casa di un profano e di un pagano: 3. Tetradio, infatti, a quel tempo, era invischiato ancora  nell’errore del paganesimo. L’uomo allora promise che, se si fosse scacciato il demonio dal corpo dello schiavo, si sarebbe convertito al cristianesimo. 4. Allora Martino impose le mani allo schiavo e lo liberò dallo spirito immondo. A quella vista, Tetradio credette nel Signore Gesù, divenne subito catecumeno, e non molto tempo dopo fu battezzato. Da allora venerò sempre Martino come l'artefice della sua salvezza e gli manifestò un meraviglioso affetto.
5. Sempre nella stessa epoca e nella stessa città, entrando nella casa di un padre di famiglia, Martino si fermò proprio sulla soglia, dicendo di vedere nell'atrio un orribile demonio. Gli ordinò di andarsene, ma il demonio si gettò nel corpo del padre di famiglia, che si attardava dentro la casa. Subito, lo sventurato posseduto si mise a mordere con furore e a lacerare tutti coloro che incontrava. Tutta la casa ne fu sconvolta, il  panico si impossessò degli schiavi e tutto il popolo si diede alla  fuga. Martino si pose davanti al folle e subito gli ordinò di non muoversi. 6. Poiché l'altro faceva stridere i denti e con la bocca spalancata minacciava di mordere, Martino gli piantò le sue dita nella bocca e disse: «Se hai un qualche potere, divorali». 7. Allora l'invasato, come se avesse avuto in gola un fuoco incandescente, staccava sempre i denti per evitare di toccare le dita del santo. Il demonio da un lato si vedeva costretto a fuggire dal corpo che aveva invaso da  questo castigo e da queste torture, ma dall’altro,  non poteva uscire attraverso la bocca: allora, lasciando dietro di sé delle tracce immonde, fu evacuato da un flusso del ventre.


 

Cap. XVIII
Altri miracoli di Martino

 


1.
Nel frattempo, mentre nella città di Treviri si era sparsa all'improvviso l’allarmante notizia che i barbari erano in agitazione e stavano per attaccare la città,  Martino si fece condurre innanzi un indemoniato: subito gli intimò di dichiarare se tale notizia era vera. 2. Allora, l'indemoniato confessò che insieme ad  altri dieci demoni aveva sparso questa diceria tra la  popolazione, nella speranza che, almeno per questo timore, si potesse allontanare Martino dalla città: del resto, i barbari pensavano tutt’altro fuorché a fare irruzione. In tal modo, grazie a questa confessione dello spirito immondo, confessione fatta nel mezzo della chiesa, la città fu liberata dalla paura e dal turbamento che la avevano sconvolta.
3. Un giorno, recatosi a Parigi, mentre varcava  la porta della città  accompagnato da una folla immensa, Martino vide un lebbroso dall’aspetto penoso di cui tutti avevano orrore: il santo allora lo baciò, lo benedisse e subito il lebbroso fu guarito. 4. Il giorno seguente, l’uomo, la cui pelle era nitida e senza macchie,  si recò in chiesa per rendere grazie per l’avvenuta guarigione. Non si deve neppure dimenticare che spesso le frange, tolte dal vestito o dal cilicio di Martino, operarono miracoli su degli ammalati. 5. Infatti, legate alle dita o messe al collo dei pazienti, queste frange hanno frequentemente messo in fuga le malattie.

 


 
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