- Comunità di San Martino di Tours

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San Martino > Livello 7
 
 

Sulpicio Severo

 

Vita di San Martino Vescovo e Confessore
(traduzione a cura di Franzo Migliore)

 


Terza Parte
Capp. XIX - XXVII

 
 
 


Cap. XIX
Guarigione di una vergine e di  s.Paolino da Nola. In seguito ad una caduta,
è curato da un angelo

 


1. Un giorno un ex-prefetto, Arborio, uomo pietoso e retto, vedendo che sua figlia era consumata da una violenta febbre quartana, prese una lettera di Martino, che per caso gli era stata portata, e la pose  sul petto della giovane nel bel mezzo di un accesso di febbre: subito la febbre sparì. 2. Questo miracolo produsse in Arborio una tale impressione che, seduta stante, votò la vergine a Dio e gli dedicò per sempre la sua verginità. Si recò allora da Martino e gli presentò la ragazza, testimone vivente della potenza taumaturgica del santo, che era stata guarita da lui, sebbene assente. Volle, inoltre, che Martino in persona, e nessun’altro,  imponesse alla ragazza l'abito verginale e la consacrasse.
3. Paolino, un grande uomo che in seguito doveva diventare di esempio per tutti, soffriva dolorosamente ad un occhio, la cui pupilla era già ricoperta da una spessa ombra. Martino, toccatogli l'occhio con una spugna, lo liberò interamente dal dolore, e gli restituì la buona salute di un tempo.
4. Un giorno, Martino fece una brutta caduta; scivolando sui ripidi gradini di una scala, precipitò dal piano superiore e si procurò molte ferite. Tormentato da insopportabili dolori, stette disteso esanime nella sua cella. Durante la notte, gli parve di vedere un angelo lavare le sue piaghe e applicare sui lividi del suo corpo un unguento salutare. In tal modo, l'indomani, il santo stava nuovamente così bene che avresti detto che non aveva sofferto alcun male.
5. Ma sarebbe troppo lungo passare in rassegna ad uno ad uno tutti i miracoli da lui compiuti. Bastino questi di cui abbiamo parlato, anche se sono pochi tra i tanti che operò. Essi sono abbastanza: se abbiamo raccontato i più notevoli lo abbiamo fatto per non togliere nulla alla verità, e rischiare di stancare se ne avessimo raccontati troppi.

 

Cap. XX
Martino a tavola dell’imperatore Massimo

 


1.
A questo punto mi sembra sia opportuno parlare anche di eventi più piccoli. Considerando la situazione del nostro tempo, dove tutto è immorale e corrotto, è un fatto quasi straordinario, che la fermezza di un vescovo non abbia ceduto alla tentazione di adulare un sovrano. Dunque, alla corte dell'imperatore Massimo, uomo di una natura rozza, inorgoglito dalla sua vittoria nelle guerre civili, si erano riuniti numerosi vescovi provenienti da diverse regioni dell'impero. Tutti si facevano notare per le loro vergognose adulazioni nei confronti del principe, e per la loro indegna vigliaccheria che degradava la loro dignità di vescovi al ruolo di clienti imperiali. Soltanto Martino manteneva intatta la dignità dell'autorità apostolica. 2. Malgrado si dovesse intercedere presso l'imperatore in favore di  alcuni imputati, il santo anziché pregare, impartiva ordini. Invitato ripetutamente al suo tavolo, rifiutò, dichiarando di non poter sedere alla stessa mensa di un uomo che aveva scacciato due imperatori, togliendo ad uno il regno, all'altro la vita. 3. Rispondendogli, Massimo disse di non aver preso volontariamente l'impero, ma che i suoi soldati l'avevano costretto per volontà di Dio. Poi aveva dovuto difendere con le armi questo potere che gli era stato imposto: del resto, non gli sembrava che la volontà di Dio gli fosse ostile dato che aveva ottenuto la vittoria in circostanze così incredibili, e nessuno dei suoi avversari era morto, se non sul campo di battaglia. Vinto infine dalle ragioni o dalle preghiere, Martino si sedette alla mensa dell'imperatore arrecandogli una straordinaria gioia per aver ottenuto ciò che desiderava.
4. I commensali, invitati là come se fosse un giorno di festa, erano grandi e illustri personaggi: Evodio, prefetto e nello stesso tempo console, uomo di cui mai nessuno fu più giusto,  e due conti assai autorevoli, il fratello e lo zio paterno dell'imperatore. Tra questi due personaggi aveva preso posto il presbitero di Martino, il quale, dal canto suo, si era seduto su una modesta seggiola, accanto all'imperatore. 5. Verso metà del pasto, come è consuetudine, un servo presentò all'imperatore una coppa. Questi ordinò di darla piuttosto al santo vescovo, pensando e sperando di riceverla poi dalle sue mani. 6. Ma Martino, dopo che ebbe finito di bere, porse la coppa al suo presbitero, ovviamente ritenendo che nessuno era più degno di bere immediatamente dopo di lui, e credendo di non avere il diritto di preferire ad un presbitero o l'imperatore in persona o i suoi parenti. 7. Questa condotta suscitò nell'imperatore ed in tutti i presenti  una tale ammirazione, che essi approvarono l’operato del vescovo che li  aveva in tal modo disprezzati. Per tutto il palazzo si raccontò con entusiasmo che, durante il pranzo dell’imperatore,  Martino aveva fatto ciò che nei banchetti dei governatori subalterni nessun vescovo mai aveva fatto.
8. Allo stesso Massimo, Martino predisse molto tempo prima dell'avvenimento, ciò che gli sarebbe accaduto se si fosse recato in Italia, dove desiderava andare per fare guerra all'imperatore Valentiniano: Massimo avrebbe vinto il primo scontro, ma sarebbe morto poco tempo dopo. 9. E’ ciò che abbiamo visto accadere. Difatti, all'arrivo di Massimo, Valentiniano fu messo in  fuga; ma, circa un anno più tardi, avendo ricostituito le sue forze, Valentiniano fece prigioniero Massimo, lo rinchiuse nel carcere di Aquileia, quindi lo fece uccidere.

 


Cap. XXI

Il diavolo smascherato si vendica

 


1. E’ certo che Martino spesso vide degli angeli i quali conversavano con lui. Quanto al diavolo, era distintamente visibile agli occhi del vescovo, sia che celasse la sua presenza, sia che assumesse le diverse forme di cui di solito si serve la sua astuta malignità: qualunque forma assumesse, Martino lo riconosceva. 2. Dato che il diavolo sapeva di non potergli sfuggire, spesso lo affliggeva con le sue insolenze, perché non poteva ingannarlo per le sue insidie. Un giorno, tenendo in una mano un corno di bue insanguinato, il diavolo, strepitando fortemente, fece irruzione nella sua cella. Gli mostrò la sua mano destra rossa di sangue e, lieto del crimine che aveva appena commesso, gli disse: «Ebbene, Martino, che fine ha fatto il tuo potere? Ho appena ucciso uno dei tuoi». 3. Allora il vescovo convocò i fratelli e rivelò loro quanto il diavolo gli aveva detto. Ordinò loro di correre di cella in cella, per vedere a chi fosse capitata quella disgrazia. Riferirono che non mancava nessuno dei monaci, ma che un contadino, assunto per trasportare su un carro la legna, era andato nella foresta. Il vescovo allora ordinò che alcuni monaci gli andassero incontro. 4. Fu così che non lontano dal monastero fu trovato il carrettiere in fin di vita. Tuttavia, mentre esalava  l’ultimo respiro, indica ai fraticelli la causa della sua ferita mortale: mentre stringeva le cinghie dell’attacco dei buoi, che si erano allentate, un bue aveva scosso la testa e gli aveva inferto un  colpo di corno nel basso ventre. Poco dopo, l'infelice rese l'anima. Spetta a voi considerare perché il Signore ha dato questo potere al diavolo. 5. Ciò che era stupefacente in Martino, è che riferì ai confratelli non soltanto ciò che abbiamo raccontato in precedenza, ma altre cose analoghe che vedeva molto tempo prima che avvenissero, o apprendeva mediante le rivelazioni.

 


Cap. XXII

Martino cerca di convertire il diavolo

 


1. Spesso il diavolo, poiché tentava mediante  mille artifici malefici di prendersi gioco del santo uomo, gli si presentava sotto le forme più diverse. Gli si mostrava, infatti, trasformato talora sotto le sembianze  di Giove, abitualmente sotto quelle di Mercurio, spesso anche sotto le fattezze di Venere o di Minerva: da lui, senza spaventarsi mai, Martino si proteggeva col segno della croce e con l’aiuto della preghiera. 2. Spesso si sentivano strepiti: era il clamore provocato dalle invettive che schiere di demoni sfrontati lanciavano contro di lui; ma il santo vescovo, sapendo che tutto ciò era falso e sterile, non era turbato da quelle accuse.
3. Anche alcuni dei confratelli asserivano di aver sentito il demonio lanciare insulti oltraggiosi nei confronti di Martino: chiedeva il diavolo perché il vescovo aveva ricevuto nel suo monastero, dopo la loro conversione, dei confratelli che un tempo, a motivo di diverse colpe, avevano perso la grazia del battesimo, ed egli esponeva le malefatte di ciascuno. 4. Martino, tenendo testa al diavolo, rispondeva con fermezza che le colpe del passato erano cancellate dal ritorno ad una vita migliore e che coloro che avevano smesso di peccare dovevano essere assolti dai loro peccati dalla Misericordia del Signore. Al contrario, il diavolo sosteneva che non c'era perdono per i peccatori che, una volta caduti nel peccato, non potevano sperare più nella clemenza del Signore. Si dice che allora Martino abbia esclamato: 5. «Se tu stesso, o sciagurato, malgrado tutto smettessi di perseguitare gli uomini, se oggi, che è vicino il giorno del giudizio, ti pentissi delle tue malefatte, ebbene, ho tanta fiducia nel Signore Gesù Cristo, che ti prometterei misericordia». Quale santa presunzione sulla clemenza del Signore! Così facendo Martino, sebbene non poté assicurare la sua autorità, mostrò almeno la sua carità.
6. Poiché parliamo del diavolo e dei suoi artifici, non sembra fuori luogo, sebbene esuli dalla mia trattazione, riferire un altro fatto, dato che  anch’esso appartiene ai miracoli di Martino e sarà giusto conservare il ricordo di questo fatto meraviglioso, come esempio, per mettere in guardia contro fatti analoghi che, in avvenire, potrebbero avvenire ancora da qualche parte.


 


Cap. XXIII

La tunica di Anatolio

 


1. Un certo Claro, giovane appartenente all’alta nobiltà,  che in seguito divenne presbitero, e che una santa morte ha fatto diventare ora beato,  aveva abbandonato tutto per seguire Martino. In poco tempo, si elevò fino alla perfezione più splendente della fede e di tutte le virtù. 2. Pertanto, non lontano dal monastero del vescovo, egli aveva costruito per sé una capanna e molti confratelli vivevano insieme a  lui. Un giovane, di nome Anatolio, spacciandosi per monaco votato all'umiltà e all'innocenza, andò a trovare Claro e per qualche tempo abitò insieme agli altri confratelli.
3. Poi, col passare del tempo, Anatolio si mise a dire che gli angeli dialogavano frequentemente con lui. Inizialmente nessuno gli prestò fede, poi, adducendo certe prove, riuscì a convincere molti confratelli. Infine, giunse al punto di proclamare che tra lui e Dio vi era un continuo scambio di messaggi e a questo punto voleva che lo si considerasse come un profeta. 4. Ciò nondimeno, Claro restava sempre incredulo e Anatolio lo minacciava della collera del Signore e di un castigo immediato, perché non voleva credere a un santo. 5. Poi, un giorno, si dice che Anatolio abbia esclamato: «Ebbene, questa notte il Signore mi darà dal cielo una veste bianca, rivestito della quale, verrò in mezzo a voi. Questo sarà per voi il segno che la Potenza di Dio risiede in me, poiché avrò ricevuto in dono una veste di Dio».
6. Allora in verità grande fu l'attesa di tutti in seguito a questa dichiarazione. Dunque, verso mezzanotte, echeggiò un sordo rumore e un calpestio di gente che saltava sembrò scuotere tutto il monastero. Nella cella dove era il giovane, si vedevano balenare senza tregua dei lampi e si sentiva il rumore di passi e  il mormorio confuso di una moltitudine di voci. 7. Poi, tutto ripiombò nel silenzio. Allora Anatolio uscì fuori dalla cella e chiamò uno dei confratelli, di nome Sabazio, e gli mostrò la tunica di cui era rivestito. Stupefatto, Sabazio chiamò tutti gli altri. Accorse anche Claro: alla luce delle lampade, tutti esaminarono con cura la veste. Era fatta di una stoffa molto morbida, di un biancore splendente, con fasce di porpora scintillante  ma, tuttavia, non si poteva distinguere né la natura né la materia del tessuto. Ciò nondimeno a vedersi e a toccarsi, sembrava che si trattasse di una buona stoffa. Infine, Claro invitò i fratelli a pregare con fervore, per chiedere a Dio di mostrare loro più chiaramente di che cosa si trattasse. 9. Pertanto trascorsero il resto della notte nella recita di inni e di salmi.  Allo spuntare del giorno, preso Anatolio per mano, Claro voleva condurlo a forza verso Martino, nella certezza che il vescovo non poteva essere ingannato da un artificio del diavolo. 10. Allora l'infelice cominciò a resistere e a protestare, dicendo che gli era vietato di mostrarsi a Martino. E poiché, malgrado la sua resistenza, lo si costringeva ad andare, all’improvviso tra le mani di coloro che lo trascinavano  la veste sparì. Chi, dunque, può dubitare che il potere di Martino era così grande, che il diavolo, davanti alla prospettiva di porre sotto gli occhi di Martino i suoi allettamenti ingannevoli, non poteva dissimularli più a lungo o nasconderli?

 

 


Cap. XXIV
Il diavolo appare a Martino sotto le sembianze di Cristo

 


1. All’incirca nello stesso periodo, si venne a sapere che, in Spagna, un giovane, mediante presunti segni, era riuscito a procurarsi un enorme prestigio: costui si montò talmente la testa che giunse a spacciarsi per il profeta Elia. 2. Poiché molte persone gli avevano prestato fede con estrema leggerezza, arrivò al punto di dire di essere il Cristo. I suoi inganni erano talmente credibili, che un vescovo, di nome Rufo, lo adorò come Dio: a motivo di ciò, costui più tardi – ne siamo stati testimoni -  fu deposto dall'episcopato. 3. Molti monaci ci hanno raccontato anche che, nella stessa epoca, in Oriente, un individuo si spacciava per Giovanni. Da ciò possiamo dedurre che, quando si manifestano falsi profeti di questo genere, è vicino l'avvento dell'Anticristo, e che il mistero dell'iniquità opera in essi.
4. Ma, a quanto pare, dunque, non si deve omettere di raccontare, con quale astuzia, nella stessa epoca, il diavolo tentò Martino. Un giorno, per ingannarlo più facilmente mediante il bagliore della luminosità usurpata, egli gli apparve preceduto e circondato da una luce scintillante, rivestito di una veste reale, coronato da un diadema di pietre preziose e di oro, i piedi calzati di sandali d’oro, il viso sereno, l'aria gioiosa, tanto che neppure lontanamente somigliava al diavolo. Tale si presentò al vescovo che pregava nella sua cella. 5. A vederlo, inizialmente, Martino rimase come inebetito. A lungo tutti e due stettero in profondo silenzio. Allora, per primo, il diavolo disse: «Martino, riconosci quello che vedi: io sono il Cristo. Sul punto di ritornare sulla terra, ho voluto innanzitutto rivelarmi a te».  6. Martino continuava a tacere e non rispondeva niente alle parole del diavolo. Costui, allora, osò ripetere la sua sfrontata dichiarazione: «Ebbene, Martino, perché esiti? Credi, dal momento che vedi. Io sono il Cristo». 7. Allora il vescovo, illuminato da una rivelazione dello Spirito, comprendendo che si trattava del diavolo e non del Signore, disse: «Il Signore Gesù non ha annunciato che sarebbe venuto vestito di porpora, né con un diadema scintillante. Quanto a me, non crederò alla venuta del Cristo, se non avrà l'aspetto e le sembianze del giorno della sua passione, e se non porterà le stimmate della croce».  8. A queste parole, l'altro subito svanì come il fumo, riempiendo la cella di fetido odore, indizio indubitabile che era il diavolo.
Questo racconto, che ho appena riferito, l’ho appreso proprio dalla bocca di Martino: nessuno, dunque, pensi che si tratti di una favola.

 


Cap. XXV

Incontro dell’autore con Martino

 


1. Poiché avevo da lungo tempo sentito parlare della fede, della vita e del potere di Martino, e ardevo dal desiderio di conoscerlo, intrapresi con piacere una lungo viaggio per andarlo a vedere. Inoltre, nel mio cuore desideravo ardentemente scrivere la sua vita. Per questo motivo, dunque, ho assunto informazioni, e le ho avute parte da lui stesso, per quanto lo si poteva interrogare, parte da coloro che lo avevano visto all'opera da vicino o che sapevano.
2. A quell’epoca mi ricevette con un'umiltà e una benevolenza incredibili, si compiacque molto e si rallegrò nel Signore della stima che nutrivo per lui, stima così grande che avevo intrapreso un così  lungo viaggio per vederlo. 3. Peccatore come io sono - oso appena confessarlo, - si degnò di invitarmi alla sua santa tavola e versò egli stesso l'acqua sulle mie mani; la sera, mi lavò egli stesso i piedi. Dal canto mio, non ebbi il coraggio di resistere o contrastare la sua volontà: ero schiacciato talmente dalla sua autorità, che avrei considerato come un sacrilegio non lasciarlo fare. 4. Nelle sue conversazioni, mi parlò solamente della necessità di fuggire le seduzioni del mondo e gli affanni della terra, per seguire in tutta libertà e senza impedimenti il Signore Gesù. Come esempio più splendente dei nostri tempi, ci indicava Paolino da Nola, personaggio illustre che abbiamo in precedenza ricordato. Paolino, infatti, sbarazzatosi del fardello delle enormi ricchezze che possedeva, si era posto alla sequela del Cristo e, quasi unico nel nostro tempo, aveva messo interamente in pratica i precetti evangelici. 5. Ecco, era solito esclamare Martino, colui che bisognava seguire, che bisognava imitare e riteneva  felice la generazione presente per  avere ricevuto una tale lezione di fede e di virtù. Secondo il precetto del Signore, si era visto un uomo ricco, un grande proprietario, vendere tutto e dare tutto ai poveri: ciò che sembrava impossibile a farsi, egli l’aveva  reso possibile mediante il suo esempio.
6. E nelle parole e nella conversazione di Martino, quale gravità! Quale dignità! Come era intelligente, quanto era valente, quanto era pronto e chiaro nel risolvere le questione relative all’interpretazione  delle Scritture! 7. Poiché so che su questo punto vi sono molto increduli - dal momento che ho visto persone non credermi, quando io stesso raccontavo ciò,  ebbene, chiamo a testimone Gesù, la nostra speranza comune, che io, dalla bocca di nessuno, non ho mai sentito delle parole così piene di scienza, di eloquenza così generosa e così pura. 8. Probabilmente, in confronto alle virtù di Martino, la mia è una lode assai piccola; ma la cosa stupefacente è questa, che ad un uomo digiuno di studi letterari non mancò neppure questo merito.


 


Cap. XXVI
Ritratto di Martino

 


1. Ma ormai il mio libro richiede la conclusione e occorre porre fine al racconto, non  che io abbia esaurito tutto ciò che ci sarebbe a dire su Martino,  ma perché io, come i poeti senza arte che, alla fine del loro lavoro, sono incapaci di dargli una decente conclusione, vinto dalla grandezza dell’argomento, ne rimango schiacciato. 2. Quanto egli ha fatto, bene o male ho potuto esporlo con le mie parole, ma la sua vita interiore, la sua condotta di ogni giorno, lo slancio della sua anima sempre tesa verso il cielo, mai - dico la  verità -  mai nessun discorso sarà in grado di esprimerli per intero. Impossibile descrivere la sua perseveranza e il suo equilibrio nell'astinenza e nei digiuni, la forza dimostrata  nelle veglie e nelle preghiere, le notti, come del resto i giorni, dedicati alla preghiera, tutti gli istanti riempiti dall'opera di Dio, senza indulgere al riposo o agli affari, ma neppure al cibo o al sonno, se non quanto lo esigevano le necessità della natura. 3. In verità, neppure se Omero in persona, come si è soliti dire, uscisse dagli inferi, avrebbe le capacità di raccontare tutto ciò: tutti i  grandi meriti  in Martino sono ancora più  grandi di quanto le parole non siano in grado di esprimere. Mai Martino lasciò trascorrere un'ora, un momento, senza dedicarsi alla preghiera o immergersi nella lettura; ed ancora, anche mentre leggeva o faceva per caso qualcos’altro,  non smetteva mai di pregare Dio.
4. Nulla di straordinario in ciò: come accade ai  fabbri ferrai che, anche quando si riposano nel mezzo del loro lavoro, per un certo sollievo dalla fatica, colpiscono ancora la loro incudine, così Martino, anche quando sembrava che facesse dell’altro, continuava a pregare. 5. Oh, uomo veramente santo, in cui non ci fu mai neppure l’ombra di malizia! Non giudicò mai nessuno, non condannò nessuno, a nessuno rese male per male. Contro tutte le offese, si era armato di una pazienza straordinaria, al punto che, pur essendo egli il vescovo, poteva essere oltraggiato impunemente anche dagli ultimi dei  chierici. Mai, per questo motivo, li rimosse, per quanto dipendeva da lui, né dalla loro funzione, né dal suo affetto.

 


Cap. XXVII
I nemici di Martino. Conclusione

 


1. Mai nessuno vide Martino adirato, né turbato, o afflitto, o in atto di ridere. Egli fu sempre uguale a se stesso, il viso splendente di una gioia per così dire celeste: sembrava estraneo alla natura umana. 2. Sulle sue labbra null’altro vi era che il nome di Cristo; nel suo cuore, nient’altro che amore, pace e misericordia. Spesso era solito piangere anche sui peccati di coloro che si mostravano suoi detrattori e che, mentre egli si teneva in disparte tranquillo, lo attaccavano con la loro lingua avvelenata e con la loro bocca di vipera.
3. In verità, abbiamo visto all'opera alcuni che invidiavano la sua virtù e la nobiltà della sua vita: odiavano in lui ciò che non vedevano in se stessi e non erano in grado di imitare. E per di più - sacrilegio orribile e deplorevole - si diceva che tutti i suoi persecutori, benché estremamente pochi, fossero quasi tutti vescovi. 4. E’ inutile rivelare il loro nome, sebbene la maggior parte di essi abbaiano ancora intorno a noi: basterà che, se qualcuno di essi leggerà questo libro e si riconoscerà, ne arrossisca. Se, infatti, si adira, confesserà che è a lui che si riferiscono le mie parole, mentre forse io avevo pensato ad altri. 5. Del resto, se costoro sono di tale specie, non escludo la possibilità  che accomuneranno anche me nel loro odio nei confronti di quell’uomo straordinario.
6. Ho pienamente fiducia che questo opuscolo avrà buona accoglienza presso tutti i veri fedeli. Ma, se qualcuno leggerà queste pagine con incredulità, peccherà a sua volta. 7. Quanto a me, ho consapevolezza di essere stato spinto dall’autenticità dei fatti e dall'amore di Cristo a scrivere questo libro; ho la consapevolezza di avere esposto dei fatti accertati e di avere detto la verità: Dio, lo spero vivamente, riserva una ricompensa, non a chiunque avrà letto questo racconto, ma a chiunque avrà creduto.


 
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